Deontologia forense

Patto quota lite solo se proporzionato all’attività svolta

Redazione

Il codice deontologico forense, all’art. 45, consente all’avvocato di pattuire con il cliente, purché in forma scritta, compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, alla condizione che i compensi siano proporzionati all’attività svolta. Così si sono espresse le Sezioni Unite Civili nella sentenza n. 25012, depositata il 25 novembre 2014.

Il fatto. Un avvocato, sottoposto a procedimento disciplinare dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, veniva incolpato di violazione dei fondamentali doveri di fedeltà, probità, dignità e decoro, lealtà e correttezza per avere richiesto compensi sproporzionati rispetto all’attività svolta. Lo stesso aveva ottenuto dal proprio assistito la sottoscrizione di una scrittura privata denominata “patto di quota lite” a garanzia del pagamento dei corrispettivi professionali svolti, con il quale il cliente si obbligava, appena ottenuto il risarcimento a corrispondergli il 30% di quanto incassato.
Il Consiglio dell’ordine aveva riconosciuto la responsabilità dell’incolpato irrogandogli la sospensione dall’esercizio della professione per due mesi.

L’intervento del CNF. Interveniva il Consiglio nazionale forense che, in parziale accoglimento del ricorso ed a parziale modifica della decisione impugnata, applicava all’avvocato la meno grave sanzione disciplinare della censura. Secondo il CNF, il rispetto della proporzionalità della pretesa costituisce canone deontologico che deve improntare la condotta dell’avvocato. «Nemmeno con la più benevole prognosi ex ante può immaginarsi che, nel caso di specie, fosse proporzionato un compenso pari al 30% della res litigiosa, soprattutto in un giudizio dall’alea assai ridotta. L’eccessività sta nell’abnorme percentuale del compenso rispetto al complessivo risarcimento in relazione ad una controversia dall’esito ben prevedibile e di non così rilevante difficoltà».
Per la cassazione della sentenza del CNF ha proposto ricorso l’avvocato. Con un unico motivo, il ricorrente osserva che la proporzione ovvero la sproporzione del compenso, ai fini del giudizio sulla liceità o illiceità deontologica della condotta, va valutata necessariamente ex post e sarebbe arbitrario pretendere di accertarla, come ha ritenuto il CNF, ex ante, già al momento del conferimento dell’incarico.

Art. 45 codice deontologico forense. Intervengono le Sezioni Unite, le quali, nel ritenere il ricorso manifestamente infondato, sostengono che il legislatore del 2006 nell’ammettere pattuizioni, purché redatte in forma scritta, di compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, ha previsto la necessità di adeguare le norme deontologiche alle nuove regole. Così, l’art. 45 del codice deontologico forense, a seguito di tale riforma legislativa, consente all’avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», alla condizione «che i compensi siano proporzionati all’attività svolta.»

Compensi proporzionati all’attività svolta. Pertanto, la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso sono l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato. Infatti, sostiene la S.C., l’aleatorietà dell’accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità; di valutare, cioè, se la stima effettuata dalla parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo che lega compenso e risultato, ragionevole oppure sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale.
Questo il criterio a cui il CNF si è attenuto nel rilevare la manifesta eccessività e l’iniquità del compenso, data dall’abnorme percentuale dello stesso in rapporto al risarcimento in una controversia dall’esito ben prevedibile e di non così rilevante difficoltà, non essendovi alcuna incertezza né sulla responsabilità del danneggiante né sulla quantificazione del danno.

Controllo di proporzionalità del patto quota lite corretto. Secondo le Sezioni Unite, quindi, il giudice disciplinare ha correttamente eseguito il controllo di proporzionalità del patto quota lite, che precede il compimento dell’attività, precisando in modo chiaro le ragioni della manifesta irragionevolezza del patto. Così, il ricorrente, con la sua censura, finisce in realtà per chiedere una nuova – non consentita in sede di legittimità – valutazione dei fatti.

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