Previdenza forense

L’indennità di maternità per gli avvocati: un nuovo orientamento sul regime transitorio

Redazione

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29757/17, depositata il 12 dicembre.

Il caso. La Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da un avvocato nei riguardi della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense avverso la sentenza che aveva respinto la domanda della stessa volta all’accertamento del diritto all’indennità di maternità calcolata nella misura originariamente prevista dall’art. 70 d.lgs. n. 151/2001 ed alla condanna della Cassa al pagamento della differenza rispetto a quanto erogatole nella ridotta misura di cinque volte l’importo minimo dell’indennità, a norma dell’art. 1, comma 3-bis, l. n. 289/2003.
La Corte territoriale ha ritenuto infatti corretta l’applicazione della predetta legge da parte del Tribunale di Milano, posto che al momento dell’entrata in vigore (29 ottobre 2003) la ricorrente si trovava solo al quarto mese di gravidanza, per cui non poteva applicarsi il precedente regime più favorevole, cui la stessa avrebbe avuto diritto con il compimento del sesto mese di gravidanza.

La parità di trattamento tra lavoratrici subordinate ed autonome. Preliminarmente la Suprema Corte ha esaminato l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente circa il diverso trattamento dell’indennità di maternità previsto per le lavoratrici subordinate e quelle autonome  che impone di limiti più restrittivi per queste ultime.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata tale eccezione, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 3/1998 con la quale è stato precisato che il parametro dell’art. 37 Cost. attiene soltanto alla tutela del lavoro subordinato, restando del tutto estraneo al lavoro autonomo e a quello dei liberi professionisti e che ciò non realizza alcuna disparità di trattamento, posto che esiste una netta differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo: da tale diversità discende che gli strumenti di tutela che le leggi ordinarie apprestano per l’uno non possono ritenersi automaticamente applicabili anche all’altro.
Gli Ermellini hanno poi precisato che non esiste alcun parallelismo tra l’indennità di maternità prevista per le professioniste e le altre prestazioni previdenziali, anche alla luce del peculiare sistema di finanziamento delle relative prestazioni e per le esigenze di bilancio della Cassa, le cui condizioni sono mutate nel tempo in conseguenza della crescita esponenziale delle libere professioniste esercenti la professione legale.

La disciplina transitoria dell’indennità di maternità. Disatteso il dubbio di costituzionalità la Suprema Corte ha ritenuto corretta l’individuazione della disciplina intertemporale operata dalla Corte territoriale, seppure in contrasto con un diverso orientamento della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 27068/13, aveva espresso il differente principio secondo cui l’indennità di maternità dovuta alle libere professioniste esercenti la professione legale, per lo stato di gravidanza nel periodo antecedente al 29 ottobre 2003, soggiace al regime reddituale previsto dall’originaria formulazione dell’art. 70 d.lgs. n. 151/2001.
In altre parole, il criterio corretto per determinare quale sia la disciplina applicabile ratione temporis all’indennità di maternità è costituito non dalla data del parto (per la possibile predeterminazione della stessa ed in considerazione del fatto che l’indennità spetta anche per l’interruzione della gravidanza) né dalla data di presentazione della domanda né tantomeno dalla data di inizio della gravidanza (di tal ché in questo caso lo stato di gravidanza non opera oggettivamente) ma dalla data in cui sorge il diritto all’indennità di maternità e, cioè, il compimento del sesto mese di gravidanza.

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