Professione forense

Accertamento della continuità della professione forense: addio al requisito dei 5 affari annui

Redazione
avvocato

Con il parere n. 1012 del 9 giugno 2021, il Consiglio di Stato ha espresso il proprio assenso sulla modifica al decreto del Ministero della Giustizia 25 febbraio 2016, n. 47 dove, all'art. 2, disciplina le modalità di accertamento dell'esercizio della professione forense in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.

La modifica si è resa necessaria a seguito della procedura di infrazione comunitaria avviata dalla Commissione UE per la violazione della direttiva 2005/36/CE e dell'art. 49 TFUE, nonché art. 15, par.3, in combinato disposto con l’art. 15, par.2, lett. a), della direttiva 2006/123/CE, laddove era previsto che l'avvocato deve trattare almeno 5 affari, in Italia, per ciascun anno.
Tale previsione infatti aveva l'effetto di limitare «indubbiamente la flessibilità necessaria agli avvocati di dimostrare l’esercizio effettivo della professione, tenuto conto della molteplicità di ambiti professionali disponibili sia in Italia sia in altri Stati membri dell’UE, in cui gli avvocati potrebbero prestare i loro servizi in modo temporaneo o permanente nell’esercizio dei diritti loro conferiti dalle direttive 77/246/CEE e 98/5/CE».
La Commissione ha inoltre osservato che «un avvocato può infatti decidere di sospendere o di limitare sensibilmente l’esercizio della professione per un determinato periodo di tempo per vari motivi, ad esempio in caso di malattia o per prestare assistenza a un familiare senza che tale decisione debba incidere sulla sua competenza di avvocato abilitato all’esercizio della professione».

Il Ministero ha dunque deciso di sopprimere la lett. c) dell'art. 2, comma 2, d.m. n. 47/2016 e con esso il requisito dell'aver trattato almeno 5 affari per ciascun anno di esercizio della professione forense.
Il parere del Consiglio di Stato accoglie con favore tale modifica, precisando anche che non risulta compromessa «la tutela dei destinatari dei servizi, in quanto – come ricordato dal citato Parere - permane comunque l’obbligo di seguire corsi di formazione continua ai fini dell’aggiornamento delle competenze, peraltro già stabilito dal decreto ministeriale n.47/2016 (articolo 2, comma 2, lettera e)».

 

 

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