L’importanza dei segni di interpunzione quando si digita un indirizzo PEC
Cassazione penale, 11 marzo 2019 (ud. 13 novembre 2018), n. 10609.
Un segno di interpunzione “di troppo”. La Corte d’Appello di Catanzaro, riformando la sentenza del GIP del Tribunale di Castrovillari, ha assolto un’imputata dal reato di appropriazione di cosa smarrita, rideterminando la pena residua per quello di utilizzo indebito di una carta di pagamento. Avverso tale decisione, l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo l’omessa notifica della citazione per il giudizio di appello.
Secondo il ricorrente, infatti, la notifica di tale atto è stata effettuata all'indirizzo di posta elettronica avv.nomecognome@pec.it (di cui è titolare altro avvocato) e non a quello del proprio difensore che è avvnomecognome@pec.it (nello specifico, dunque, era stato inserito un punto tra il suffisso “avv” ed il nome del legale).
Notifica effettuata all’indirizzo errato e nullità di tutti gli atti successivi. La Corte, ritenendo fondata la censura sollevata dalla ricorrente poiché evidenzia «una circostanza oggettivamente vera», ha sottolineato che «nonostante il fatto che l’indirizzo di posta elettronica cui è stata inviata la PEC si differenzi rispetto all’indirizzo di posta elettronica effettivo del difensore dell’imputato appellante soltanto per la presenza nel primo di un segno di interpunzione, risulta comunque che la notifica sia stata effettuata all’indirizzo di posta elettronica errato sì che l’effettivo difensore non risulta essere stato avvisato della fissazione dell’udienza in grado di appello con ciò determinandosi la nullità di tutti gli atti successivi».
Per tali motivi, il collegio ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.