Deontologia forense

La critica al provvedimento del giudicante può coinvolgere solo il suo operato, non la sua persona

Redazione

La vicenda. Un Giudice del Tribunale di Brescia trasmetteva al COA una segnalazione vertente su alcune frasi offensive utilizzate contro di lui da parte di un avvocato nell’atto di gravame proposto contro una sentenza da lui stesso pronunciata. Il COA di Brescia apriva apposito procedimento disciplinare, contestando all’avvocato la violazione dei doveri di dignità e decoro professionali e del divieto di utilizzo di espressioni sconvenienti e offensive verso i magistrati, avendo egli travalicato il legittimo esercizio del diritto di critica. Nello specifico, infatti, egli aveva definito la sentenza impugnata come affetta da una “superficialità disarmante”, oltre ad avere affermato che il Giudice di prime cure avrebbe deciso senza tenere in considerazione l’abbondante documentazione prodotta in giudizio.
Il COA infliggeva all’avvocato la sanzione disciplinare dell’avvertimento, ritenendo che tale ultima affermazione oltrepassasse il diritto di critica del provvedimento (al contrario della prima).
L’avvocato impugna la decisione dinanzi al CNF.

Diritto di critica al provvedimento del giudicante. Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso dell’avvocato, sostenendo che la violazione del precetto deontologico si ha qualora l’avvocato utilizzi espressioni offensive, venendo meno alla regola della continenza e della corretta dialettica processuale.
A tal proposito, il CNF rileva che nel caso di specie le espressioni rivolte dall’avvocato al magistrato hanno senza dubbio «portato un vulnus per la figura professionale di quest’ultimo», mettendo in dubbio lo svolgimento della sua attività professionale.
In materia di esercizio del diritto di critica del provvedimento del magistrato, essa (soprattutto nella fase di impugnazione) trova un limite nel dovere di mantenere con il giudice un rapporto basato sulla dignità e sul decoro, anche con riferimento alla sua persona.
Da ciò consegue che la censura deve essere rivolta alla fattispecie concreta come ricostruita dal giudice, contestando i vizi inerenti alla motivazione della decisione, e non alla persona del giudicante.
Per questo motivo, il CNF conferma la violazione del precetto deontologico da parte del ricorrente e dunque respinge il ricorso da lui presentato.

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