Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza del 21 giugno 2018, n. 69.
Il fatto. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma disponeva la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di quattro mesi nei confronti di un avvocato colpevole, tra i vari capi di imputazione, di aver prospettato a una detenuta, sulla quale sussisteva una certa attenzione mediatica, una difesa gratuita in un eventuale processo di revisione, dichiarando di «essere sensibile alla vicenda e di credere in lei». Con tale comportamento, secondo l’Ordine, l’avvocato aveva violato il dovere di colleganza nei confronti dei difensori di fiducia e gli artt. 19 e 22 del Codice di Deontologia Forense. Il ricorrente si oppone al provvedimento, rimettendo la decisione al Consiglio Nazionale Forense.
Non si può contendere il cliente celebre ai difensori già designati. Il Consiglio Nazionale Forense, pur accogliendo parzialmente il ricorso per altri capi di imputazione e riducendo la sospensione comminata all’avvocato dai mesi sei ai mesi quattro, conferma il disvalore della condotta del legale che, trascurando e superando i colleghi designati quali difensori, si rivolga ad un soggetto prospettando interventi forse risolutivi a carattere gratuito. Secondo il Consiglio, tale comportamento, oltre a costituire un’indebita intrusione con sostanziali intenti denigratori in una pratica altrui, arrecherebbe danni all’immagine della categoria forense i cui iscritti sembrano contendersi occasioni di visibilità, se non di lavoro.