Deontologia forense

Il principio del favor rei si applica anche al regime della prescrizione e non solo alla successione nel tempo delle norme incriminatrici e delle pene

Redazione

di Fabio Valerini, Avvocato cassazionista

La disciplina della prescrizione … Nel caso di specie, l’avvocato incolpato aveva eccepito l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare in quanto il fatto contestato era avvenuto nell’ottobre 2005 mentre l’avvio del procedimento era stato notificato soltanto nel maggio 2012.
Per il CNF, però, la tesi dell’incolpato non ha tenuto conto di ciò, che il fatto contestato (e, cioè, l’esercizio abusivo della professione forense) è anche un fatto di reato previsto e punito dall’art. 348 c.p. e per il quale era stato avviato il processo penale conclusosi con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile
Ne deriva che occorre fare applicazione del principio secondo cui «nei casi, come quello in esame, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale la prescrizione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza penale restando, invece, irrilevante, alla luce della disciplina dell’art. 44 del RDL 27 n.1578/1933, il periodo decorso dalla commissione del fatto fino all’instaurazione del procedimento penale».
Il dies a quo del termine di prescrizione è la data del fatto contestato soltanto quando quel fatto abbia un rilievo soltanto disciplinare, mentre nel caso di rilievo anche penale il termine decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta.

… e il regime della prescrizione nel tempo. Chiarito questo aspetto il CNF esamina la questione di quale sia, però il regime della prescrizione applicabile al caso concreto caratterizzato da un fatto contestato ante 2012 e procedimento disciplinare che si svolge (e conclude) nel vigore della nuova legge professionale.
Ed infatti, la nuova legge professionale al comma 5 dell’art. 65 ha espressamente previsto che «le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato».
Si tratta – secondo le Sezioni Unite della Cassazione n. 3023/15– del recepimento del criterio del favor rei, in luogo del criterio del previgente criterio del tempus regit actum.
Secondo un primo orientamento delle Sezioni Unite «in tema di azione disciplinare nei confronti degli avvocati ai procedimenti in corso non si applica esclusivamente il nuovo e più mite regime della prescrizione della l. n. 247/2012 giacché il principio della retroattività della lex mitior non riguarda detto termine ma, unicamente, la fattispecie  incriminatrice e la pena le cui relative norme si applicano se più favorevoli all’incolpato».
Senonchè, con l’ordinanza n. 21829/15 le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che «l’art. 65, comma 5, della l. n. 247/2012, laddove sancisce che le norme del nuovo codice deontologico forense si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli, spiega i propri effetti anche con riguardo al regime della prescrizione».
Inoltre, viene richiamata anche la sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2011 che si era espressa nel senso che il principio di retroattività in mitius della legge penale, riconosciuto dalla Corte Europea come corollario di quello di legalità consacrato nell'art. 7 CEDU, concerne tanto i reati quanto le pene che li reprimono.
Ecco allora che il CNF ritiene di dover rivedere il proprio precedente orientamento in modo tale da «favorire così la piena attuazione al principio del favor rei applicandolo non solo alle singole fattispecie incriminatrici ma anche alle sanzioni disciplinari conseguenti la cui sostanziale portata afflittiva, e le cui modalità di determinazione, inducono a ritenere rispondente a principi di equità e di giustizia sostanziale un’assimilazione agli istituti tipici della sanzione penale dovendosi fare riferimento nel calcolo a circostanze “aggravanti” o “attenuanti” oggettive e soggettive».

Esercizio abusivo della professione. La seconda questione rispetto alla quale la decisione del CNF merita di essere richiamata è quella relativa all’individuazione di cosa debba intendersi per esercizio abusivo della professione, in particolare quando l’avvocato risulta sospeso dall’esercizio della professione, come nel caso di specie.
Ed infatti, il CNF richiama il consolidato orientamento per il quale «la sola accettazione del mandato professionale e il successivo deposito della ricevuta procura presso la cancelleria del giudice competente, durante il periodo di sospensione, sono idonei a configurare la condotta illecita, trattandosi di comportamenti espressivi, di per sé soli, dell’esercizio di attività di avvocato».
Ed infatti, «durante il periodo di sospensione dall’esercizio della professione, l’avvocato deve astenersi dal compiere non solo gli atti strettamente giudiziali ma anche tutti quelli comunque rientranti nella attività professionale forense (cfr. Cons Naz Forense n. 326/2013, n. 78/2014, n. 132/212, n. 37/2000)».

Irrilevanza degli stati psicologici. Peraltro, una volta accertata la condotta un’eventuale depressione dell’avvocato non varrà ad escludere la responsabilità disciplinare dell’avvocato, ma semmai, ove dovesse risultare provata, potrà portare ad una mitigazione della sanzione.
E ciò perché «i sintomi depressivi non escludono, di per sé soli, la responsabilità derivante da illecito disciplinare, giacché per l’imputabilità dell’infrazione è sufficiente la volontarietà con la  quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto, a nulla rilevando la buona fede dell’incolpato ovvero le sue condizioni psico-fisiche che, se provate, costituiscono elementi dei quali si può tener conto solo nella determinazione concreta della sanzione».

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