Sospensione dell’Avvocato dall’esercizio della professione. Con la sentenza del 16 ottobre 2018 n. 125 il CNF si pronuncia a fronte del ricorso avanzato da un Avvocato avverso la decisione del COA di Pescara, che disponeva nei suoi confronti la sanzione disciplinare della sospensione per 4 mesi dall’esercizio dell’attività professionale.
Il ricorrente lamenta che il COA, non avendo assunto le prove che erano state prodotte in un procedimento penale pendente, aveva riconosciuto la sua responsabilità sulla base delle sole dichiarazioni dei suoi clienti.
Come ribadisce l’istante, la mancanza di prove certe sui fatti oggetto dell’incolpazione dovrebbe comportare il suo proscioglimento.
Il principio accusatorio. Quanto alle dichiarazioni che erano state assunte dal COA aternino, il Consiglio evidenzia che tali affermazioni risultano tra loro contradditorie dato che rappresentano un quadro fattuale tutt’altro che puntuale e preciso. Sul punto il CNF rammenta che nel procedimento disciplinare, l’onere della prova circa la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico incombe sull’organo procedente. Infatti, solo qualora sussista la prova della violazione alla regola deontologica è possibile irrogare la sanzione disciplinare all’incolpato; in caso contrario, in dubio pro reo, ossia in mancanza di «prova sufficiente» della trasgressione, è necessario giungere all’assoluzione dell’agente.
Il principio di acquisizione della prova. Circa l’assunzione delle prove prodotte in un diverso procedimento all’interno del procedimento disciplinare, il Consiglio ricorda che nel sistema processualcivilistico opera il principio di acquisizione della prova. In forza di tale principio, infatti, «un elemento probatorio, legittimamente acquisito, una volta introdotto nel processo, è acquisito agli atti e, quindi è ben utilizzabile dal giudice al fine della formazione del convincimento». Le risultanze probatorie, sottolinea il Collegio, che sono state formate in un procedimento diverso, ed anche tra parti diverse, possono essere utilizzabili dal giudice disciplinare, organo che rimane sempre libero di valutarne la rilevanza e la concludenza ai fini del decidere. È da negare, in conclusione, che pregiudizialmente si possa negare ogni valore probatorio a dette risultanze solo perché «non replicate e confermate in sede disciplinare».
Il Consiglio, dunque, ritiene applicabile nel procedimento disciplinare il principio della presunzione di non colpevolezza e delle prove atipiche.