Lavoro

Ispettore di polizia, rilevato utilizzo di sostanza stupefacenti: non serve un valore soglia per la sanzione disciplinare

Redazione

di Alessio Ubaldi, Avvocato

L’accertamento anche solo di una presenza minima di sostanza stupefacente è idoneo a fondare la sanzione disciplinare nei confronti del dipendente in forza all’Autorità di Polizia. Lo ha stabilito la Sezione IV del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6892, pubblicata il 5 dicembre 2018.

Il caso. La vicenda controversa trae origine dagli accertamenti medici, operati dalla Polizia di Stato, su un ispettore superiore in forza all’Amministrazione, in esito ai quali è stata constata la presenza di residui di hashish su peli e capelli della dipendente.
Quest’ultima ha tempestivamente opposto la non riconducibilità dei residui all’uso della sostanza psicotropa, sottolineando che tutto sarebbe dipeso da “fumo passivo”.
Rigettate le motivazioni dell’ispettore, l’Amministrazione ha gravemente represso la condotta con plurimi provvedimenti tra cui (i) il giudizio di non idoneità permanente, (ii) l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un mese; (iii) l’avvio del procedimento di revisione della patente di guida; (iv) il collocamento in aspettativa speciale; (v) il transito nei ruoli dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno.
L’ispettrice si è dunque rivolta al Tribunale Amministrativo Regionale cui è stato chiesto l’annullamento di tutti gli atti richiamati.
Il Tar, con sentenza non definitiva, ha annullato il decreto di irrogazione della sanzione disciplinare, ravvisando la violazione del contraddittorio, il difetto di istruttoria con erronea applicazione dei presupposti normativi relativi all’accertamento dell’uso di stupefacenti e il difetto di motivazione.
Sotto altro versante, ha disposto l’espletamento della consulenza tecnica e la prosecuzione del processo.
Espletata la CTU, il Tar ha infine accolto il ricorso, valutando illegittimo il verbale di non idoneità permanente ai servizi di istituto, ed ha annullato tutti gli altri provvedimenti consequenziali al primo; ha riconosciuto il diritto al reintegro, al trattamento retributivo intero per il periodo di sospensione dal servizio, al risarcimento del danno non patrimoniale per un importo di euro 30.000.
Segnatamente, in punto procedimentale, secondo il giudice di prime cure, la mancata disponibilità, da parte della ricorrente del verbale relativo alla testimonianza di persona, determinante per l’avvio degli accertamenti relativi alla assunzione di sostanze stupefacenti, avrebbe integrato la violazione del contraddittorio per l’impossibilità di difendersi e provare adeguatamente che era stata esposta a fumo passivo, frequentando a fini assistenziali proprio la testimone.
Nel merito, secondo il Tar l’Amministrazione avrebbe fatto erronea applicazione dei presupposti normativi relativi all’accertamento dell’uso di stupefacenti, poiché mentre verifiche a base del provvedimento risultava la presenza di cannabinoidi nella percentuale 0,04 ng/mg su capelli e peli pubici, l’allegato all’Intesa Stato-Regioni del 30 ottobre 2007 prevedeva una concentrazione soglia pari a 0,1 ng/mg quale discrimine tra assunzione volontaria ed esposizione a fumo passivo.

Rilevanza del valore soglia. Il verdetto è stato infine portato all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada ai quali è stato chiesto di rivedere in toto la sentenza gravata.
La pronuncia, tra vari profili, merita particolare attenzione per quanto concerne gli aspetti inerenti alla comminata sanzione disciplinare.
In particolare, l’Amministrazione appellante ha contestato l’interpretazione resa dal Tar in merito al valore soglia su evidenziato e tanto è inter alia bastato per ottenere un ribaltamento della decisione. Più precisamente, il Consiglio di Stato ha osservato che il valore soglia o cut-off individuato nell’allegato richiamato dal Tar, o i diversi valori soglia risultanti da altre linee guida, individuano, con carattere convenzionale, il limite di separazione tra «positività» e «negatività» del test al momento del prelievo e non già, come sopra tratteggiato, il discrimine tra l’assunzione volontaria e la esposizione a fumo passivo. Inoltre – osservano i giudici di legittimità – ai fini del procedimento (rectius del provvedimento disciplinare) non rileva l’effettivo superamento della soglia di positività ma semmai l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti nel periodo precedente all’accertamento.

L’irrilevanza dell’attualità dell’uso. In buona sostanza – si legge in sentenza – “l’accertamento anche di una presenza minima di sostanza è idoneo a fondare la sanzione visto che, secondo tutte le linee guida evocate, i test forniscono indicazioni circa l’esposizione cronica o ripetuta del soggetto a sostanze stupefacenti o psicotrope per un periodo variabile antecedente al prelievo (da 3 a 12 mesi). La conseguenza è che non rilevano le argomentazioni dell’appellata rispetto alla circostanza che i valori accertati sono inferiori a quelli soglia per la positività, che è riferita alla attualità dell’uso, così come non rileva la mancata effettuazione dell’ulteriore test THC-COOH, ritenuto necessario dalla consulenza di parte, atteso che lo stesso misurerebbe il principio attivo utile per la differenziazione tra un ultimo impiego e vecchi residui d’uso”.
In definitiva, in base alle argomentazioni che precedono, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello presentato dall’Amministrazione per l’effetto confermando tutti i provvedimenti negativi adottati nei confronti dell’ispettore, spese di lite compensate.

 

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