Il caso. Un avvocato presentava ricorso avverso la decisione con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Monza gli infliggeva la sanzione disciplinare della cancellazione per violazione degli articoli 5, 6, 9 e 35 del Codice Deontologico Forense, ritenendo che lo stesso, al fine di trarne un ingiusto profitto, si sarebbe indebitamente appropriato di una automobile di proprietà della sua cliente, che aveva ricevuto dalla comodataria per curarne la restituzione alla società proprietaria e che, usando le generalità della predetta, avesse falsamente compilato e sottoscritto un modello C.A.I.(Contestazione amichevole di incidente) relativo ad un sinistro stradale occorsogli alla guida di tale autovettura. In relazione a tali fatti, per i quali l’attuale ricorrente era stato imputato per appropriazione indebita e falso in scrittura privata, era stato celebrato un processo penale dinnanzi al Tribunale di Monza, poi alla Corte di appello di Milano ed infine alla Suprema Corte di Cassazione, che si era concluso con la sentenza n. 44374/2013 con cui quest’ultima aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’imputato. Si era determinato, così, il passaggio in giudicato della decisione impugnata contenente la condanna dell'imputato alla pena di un anno di reclusione. Alla luce della definitività della sentenza penale il COA di Monza aveva applicato, quindi, la sanzione della cancellazione. L’avvocato ha allora proposto ricorso al CNF chiedendo l’annullamento del procedimento disciplinare.
Principio della retroattività della lex mitior. Il Giudice della deontologia non può ricostruire l’episodio posto a fondamento dell’incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza definitiva, ma ha la piena libertà di valutare i medesimi fatti nella diversa ottica dell’illecito disciplinare per sindacarne le conseguenze nello specifico sistema deontologico. Va, dunque, richiamato, a tal proposito, il principio enunciato dalle SSUU secondo il quale «in tema di azione disciplinare nei confronti degli avvocati ai procedimenti in corso non si applica esclusivamente il nuovo e più mite regime della prescrizione della l. 247/2012 dal momento che il principio della retroattività della lex mitior non riguarda detto termine ma, unicamente, la fattispecie incriminatrice e la pena le cui relative norme si applicano se più favorevoli all’incolpato (SSUU nn. 23364/2015 e 14905/2015)». Non può neppure ignorarsi che le SSUU (n.15120/2013) hanno affermato – sempre in materia di sanzioni disciplinari a carico di avvocati - che si applica la sanzione vigente nel momento in cui il fatto è stato commesso, non operando il canone penalistico di cui all’art. 2, comma 4, c.p., che riguarda le norme penali successive alla commissione del fatto ove, appunto, modifichino in melius il trattamento complessivo sanzionatorio. Il principio del favor rei, e quindi della lex mitior, introdotto in ambito disciplinare dall’art. 65, comma 5, della l. n. 247/2012, è stato affermato dalla richiamata giurisprudenza delle SSUU limitandone l’applicazione alla successione nel tempo tra le norme del previgente e del nuovo Codice Deontologico. Le richiamate sentenze hanno, in buona sostanza, affermato il principio secondo il quale «in tema di azione disciplinare nei confronti degli avvocati il principio di retroattività della lex mitior riguarda esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena ex art. 65, comma 5, l. 247/2012».
Principio del favor rei. Di diverso avviso sono state, però, le medesime SSUU che con l’ordinanza 21829/2015. Hanno infatti ritenuto che «l’art. 65, comma 5, della l. n. 247 del 2012, laddove sancisce che le norme del nuovo Codice Deontologico Forense si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli, spiega i propri effetti anche con riguardo al regime della prescrizione». Il CNF ritiene di poter prendere le mosse da tale orientamento per valorizzare le sostanziali modifiche del nuovo sistema disciplinare, il quale ha subito un rilevante mutamento sotto il profilo sia procedurale che strumentale-sanzionatorio. Dal più volte richiamato principio del favor rei non può che derivare la necessaria conseguenza di rideterminare diversamente la sanzione, non essendovi ragioni per introdurre un’ulteriore limitazione a quella retroattività delle legge più favorevole, che costituisce principio generale in materia di sanzioni penali. Dunque la conferma della sanzione (cancellazione) vigente al momento del fatto risulterebbe non coerente con l’attuale sistema, disciplinando diversamente situazioni identiche e finendo sostanzialmente per relegare il principio del favor rei nell’angusto recinto della mera fattispecie deontologica tipizzata, privandolo così di quell’ampiezza che costituisce, invece, principio informatore della norma primaria.
La conclusione del Consiglio. Il CNF reputa pertanto di dover riconfermare il proprio orientamento e di ritenere superato, per le motivazioni esposte, il principio enunciato nella richiamata sentenza n. 15120/2013. Tale orientamento garantisce una piena attuazione al principio del favor rei applicandolo non solo alle singole fattispecie incriminatrici ma anche alle sanzioni disciplinari conseguenti la cui portata afflittiva, e le cui modalità di determinazione, inducono a ritenere rispondente a principi di equità e di giustizia sostanziali un’assimilazione agli istituti tipici della sanzione penale, perché anche nella determinazione della sanzione disciplinare deve farsi riferimento a circostanze “aggravanti” od “attenuanti”, oggettive e soggettive. Il CNF, in parziale accoglimento del ricorso, ridetermina la sanzione disciplinare della cancellazione già inflitta a carico dell’avvocato in quella della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per il periodo di anni tre, disponendo che il periodo di sospensione già sofferto a seguito della misura cautelare venga computato nel nuovo periodo e detratto dallo stesso.