Il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva applicato nei confronti di un avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per otto mesi. In particolare, tra i vari addebiti, al difensore veniva contestata la violazione degli artt. 9, 68, comma 1, e 24 comma 5 NCDF per essersi auto-affidato, dopo poco più di un anno dalla rinuncia al mandato e nella sua qualità di amministratore di una società, l’incarico professionale di chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti di una sua ex assistita, prima che fossero trascorsi due anni dalla cessazione del rapporto.
L’avvocato, quindi, ricorre davanti al CNF, denunciando l’eccessività e la sproporzione della sanzione applicata.
Il CNF, con la sentenza n. 17/2022, accoglie parzialmente il ricorso.
Secondo il Consiglio Nazionale Forense, infatti, la condotta dell’avvocato comporta la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro, ma «la determinazione concreta della sanzione disciplinare non è frutto di un mero calcolo matematico, ma è conseguenza della complessiva valutazione dei fatti, avuto riguardo alla gravità dei comportamenti contestati, al grado della colpa o all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell’incolpato precedente e successivo al fatto, alle circostanze -soggettive e oggettive - nel cui contesto è avvenuta la violazione, all’assenza di precedenti disciplinari, al pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente».
Siccome nel caso di specie la parte assistita non ha ricevuto un pregiudizio rilevante e considerando la non sussistenza di uno dei capi di incolpazione, il CNF ridetermina la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense da otto a due mesi.