Professione forense

Prescrizione dell’azione cambiaria e creditore a bocca asciutta: l’avvocato risponde dei danni cagionati al cliente

Redazione

Un avvocato veniva convenuto dinanzi al Tribunale di Roma per il risarcimento dei danni da inadempimento professionale invocato dall’attore, suo ex cliente, che lamentava il fatto che il legale avesse fatto maturare la prescrizione dell’azione cambiaria con rifermento a diversi titoli per la quale gli aveva conferito mandato. La prescrizione aveva infatti impedito la possibilità di recuperare l’intero ammontare del credito vantato. Il Tribunale rigettava la domanda attorea ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione. La questione è dunque giunta all’attenzione della Suprema Corte.

Il Collegio precisa in primo luogo che l’azione di risarcimento danni da inadempimento professionale, avendo carattere contrattuale, si prescrive nel termine ordinario decennale e pertanto alla data della notifica della citazione in primo grado non poteva dirsi prescritta. Viene così rigettato il primo motivo di doglianza, mentre la seconda doglianza, che lamenta la violazione degli artt. 1176 (Diligenza nell’adempimento) e 2236 (Responsabilità del prestatore d’opera) c.c., non risulta formulata in modo idoneo in quanto omette l’indicazione dei problemi di speciale difficoltà che il legale avrebbe incontrato nel caso di specie al fine dell’esclusione della responsabilità. L’avvocato ricorrente si limita infatti ad invocare una diversa valutazione della diligenza professionale esigibile. Sul tema la Corte richiama inoltre il consolidato principio secondo cui, in applicazione degli artt. 2236 1176, comma 2, c.c. l’avvocato si considera responsabile nei confronti del suo cliente in caso di incuria e di ignoranza delle disposizioni di legge, ma anche nei casi in cui per negligenza od imperizia abbia compromesso il buon esito del giudizio. Nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili deve invece ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato salvo dolo o colpa grave (cfr. Cass.Civ. n. 11612/20).
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

 

Così la Cassazione con ordinanza n. 13875/20, depositata il 6 luglio.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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