Professione forense

L'improcedibilità della domanda di fallimento in proprio al tempo del Coronavirus: un errore da correggere

Redazione

di Filippo Rasile, Claudia Passerini

L'art. 10 del D.L. 8/04/2020, n. 23 (cd. Decreto Liquidità - in vigore dal 9/4/2020) rubricato "Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza" - prevede testualmente:

  • Tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 3 del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili.
  • Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è  fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all'articolo 15, comma ottavo, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
  • Quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo di cui al comma 1 fa seguito la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma 1 non viene computato nei termini di cui agli articoli 10 e 69-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

La relazione illustrativa che accompagna l'entrata in vigore della norma, ha esplicitamente previsto che "Il blocco si estende a tutte le ipotesi di ricorso, e quindi anche ai ricorsi presentati dagli imprenditori in proprio, in modo da dare anche a questi ultimi un lasso temporale in cui valutare con maggiore ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbe in gran parte da ricondursi a fattori esogeni”.

Dopo aver letto il testo della norma, e le giustificazioni fornite per motivare la scelta di estendere l'improcedibilità (istituto di dubbia applicabilità e utilità nel caso concreto) anche alle istanze di autofallimento, si fa davvero fatica a condividere tale ultima scelta, a nostro avviso del tutto inopportuna nella misura in cui non concede al debitore neppure la facoltà di chiedere il proprio fallimento.

 

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