Giurisprudenza

Incostituzionalità della revoca automatica della patente per il reato di omicidio stradale. Le motivazioni della Consulta

Redazione
patente

di Fabio Piccioni

Come si ricorderà, lo scorso 20 febbraio l’ufficio stampa della Consulta aveva comunicato la prima declaratoria d’incostituzionalità della legge sull’omicidio stradale.
Il lacerante silenzio sulle motivazioni, serbato per circa due mesi, è stato interrotto ieri, 17 aprile, con il deposito della sentenza n. 88.
La Corte era chiamata a decidere sui giudizi di legittimità costituzionale sollevati in riferimento agli artt. 590-quater c.p. e 222 commi 2 e 3-ter cod. strada.

Sul comma 3-ter dell’art. 222 c.d.s.. La questione è stata giudicata inammissibile per difetto di rilevanza.
I commi 3-bis e 3-ter - che avrebbero potuto recare la miglior e più elegante numerazione di commi 4 e 5 - dell’art. 222 stabiliscono, in ragione della gravità del reato, le geometriche scansioni temporali che devono intercorrere dal momento della revoca della patente a quello in cui si possa conseguirne una nuova: da un minimo di 5 fino a un massimo di 30 anni; ma il tema non è oggetto del giudizio a quo.
Il giudice penale non è chiamato a fare applicazione di tali disposizioni; infatti, in caso di condanna per i reati di omicidio o lesioni stradali, deve solo a disporre la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, senza determinare i tempi del divieto.
Tuttavia, incidentalmente, la Corte suggerisce che la censura possa avere rilevanza in sede di «contestazione, innanzi al giudice competente, della legittimità dell’eventuale diniego del provvedimento autorizzatorio perché richiesto prima del decorso del tempo previsto per legge».

Sull’art. 590-quater c.p.. La questione è ammissibile ma non fondata.
La disposizione denunciata prevede che, in caso di concorso tra le aggravanti speciali a effetto speciale recate dagli artt. 589-bis, 589-ter, 590-bis e 590-ter e le eventuali attenuanti concorrenti - a eccezione di quelle previste dagli artt. 98 e 114 - al giudice, in deroga all’art. 69, viene sottratta la facoltà di operare quel giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto, che consente alle prime di poter essere ritenute equivalenti o addirittura soccombenti rispetto alle seconde.
Conseguentemente, la diminuzione derivante dalle attenuanti (non ritenute minusvalenti) dovrà essere calcolata aritmeticamente sulla («quantità di») pena risultante dalla previa applicazione dell’aumento conseguente all’aggravante.
La specifica questione di costituzionalità sul regime di particolare rigore, è proposta solo in riferimento a quell’inedita attenuante a effetto speciale, prevista dal comma 7 di entrambi gli artt. 589-bis e 590-bis, legata all’apporto causale della condotta dell’imputato, perché a determinare l’evento ha concorso anche il comportamento colposo della vittima.
La Corte, premesso che quelle denunciate integrano delle aggravanti “privilegiate”, già note nel panorama dell’ordinamento, ritiene che quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento.
Richiamandosi a propri precedenti, osserva che «[d]eroghe al bilanciamento … sono possibili e rientrano nell’ambito delle scelte del legislatore» (sentenza n. 251/2012) e sono sindacabili «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68/2012).
D’altronde, nella fattispecie in esame, l’attenuante de qua non attiene all’offensività ma si colloca sul piano della mera efficienza causale dove opera il principio non già di proporzionalità, bensì quello di equivalenza delle concause dell’evento.
Il differenziale sanzionatorio che ne deriva può dirsi rientrare nella discrezionalità del legislatore, esercitata nel limite della non irragionevolezza.

Sull’art. 222 comma 2 c.d.s.. La questione è ammissibile e fondata. A seguito della riforma recata dalla l. n. 41/2016, l’art. 222, recante Sanzioni amministrative accessorie all’accertamento di reati, è rimasto immutato nei primi tre periodi, mentre il riformulato IV periodo prevede, a corredo dello strumentario sanzionatorio penale, l’automatica revoca della patente di guida in tutti i casi di condanna per omicidio e lesioni stradali, senza distinzione tra fattispecie semplici e aggravate.
Se lo statuto di dosimetria punitiva è articolato e graduato in 3 livelli di diversa entità, in ragione del grado di colpa crescente attribuita su base presuntiva e predeterminata - base al comma 1; intermedio ai commi 4 e 5; grave ai commi 2 e 3 di entrambi gli artt. 589-bis e 590-bis - in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente vi è un indifferenziato automatismo sanzionatorio, che integra una disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca.
Osserva il Giudice delle leggi che nell’art. 222 «l’automatismo della risposta sanzionatoria … può giustificarsi solo per le più gravi violazioni contemplate … come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis».
La guida in stato di ebbrezza alcolica con tasso superiore a 1,5 g/l o sotto l’effetto di stupefacenti costituisce comportamento altamente pericoloso, posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali; «pertanto, si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime».
In relazione alle altre ipotesi, l’automatismo della sanzione amministrativa, che risulta incompatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità, deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice.
Peraltro, rileva la Corte, il citato comma 2 prevede, contemporaneamente, come sanzione amministrativa accessoria sia la sospensione, al II e III periodo, che la revoca della patente, al IV periodo, con buona pace della chiarezza.
In conclusione, il comma 2 dell’art. 222 è costituzionalmente illegittimo, nel suo IV periodo, laddove non prevede, ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di cui ai commi 2 e 3 di entrambi gli artt. 589-bis e 590-bis, la possibilità per il giudice di applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, quella della sospensione, secondo il disposto del II e III periodo dello stesso comma 2.
«In questi casi il giudice, secondo la gravità della condotta del condannato, tenendo conto degli artt. 218 e 219 c.d.s., potrà sia disporre la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, sia quella, meno afflittiva, della sospensione della stessa per la durata massima prevista dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 222 c.d.s.».

Premesso che la sentenza:

  • da un lato, utilizza, troppe volte, l’impropria locuzione di parte offesa - sebbene, è vero, tale errato riferimento si rinviene anche negli artt. 282-quater comma 1, 472 comma 3-bis, 552, comma 3. c.p.p. e 20, comma 4, d.lgs. 274/2000, si ritiene che ciò non possa costituire una causa di giustificazione;
  • dall’altro, opera un rinvio agli artt. 218 e 219, i quali però si occupano delle sanzioni della sospensione e della revoca della patente accessorie alle “sanzioni amministrative pecuniarie”;

si osserva:
la Consulta sembra aver operato solo una parziale reductio ad legitimitatem della normativa.
Fermo il fatto aggravato dalla guida in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione da stupefacenti, resta, infatti, ancora priva di logica la perdurante parificazione delle conseguenze sanzionatorie derivanti dall’evento letale a quelle derivanti dall’evento lesivo, ancorché grave o gravissimo.
Applicare la medesima sanzione accessoria a condotte di offensività di livello diverso, disattende i criteri di ragionevolezza e di proporzione, quali elementi integratori del principio costituzionale di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost..
Come noto, la discriminazione può essere rappresentata non solo con il trattamento di situazioni uguali in modo diverso, ma anche con il trattamento di situazioni diverse in modo uguale.
Ne deriva che nulla esclude che, un giorno, si possa tornare a rilevare la disparità di trattamento derivante dall'applicazione della stessa sanzione accessoria a situazioni estremamente diverse per gravità e disvalore della condotta.

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