Deontologia forense

Sulla natura amministrativa del procedimento disciplinare

Redazione
martelletto

La vicenda. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano infliggeva la sanzione disciplinare della censura nei confronti di un avvocato, per non avere egli svolto l’attività professionale per la quale aveva ricevuto il mandato e per non aver fornito alcuna risposta né alle richieste di notizie avanzate dai clienti, né alle domande di chiarimento poste dallo stesso Consiglio.
Avverso tale provvedimento, l’avvocato propone ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, lamentando la nullità della decisione dovuta al fatto che, una volta deceduto il Presidente e relatore del procedimento, la sentenza fosse stata sottoscritta dal Consigliere più anziano ma senza menzionare l’impedimento del primo.

 

La natura del procedimento disciplinare. Il CNF respinge il ricorso dell’avvocato, evidenziando la natura amministrativa del procedimento disciplinare, come tale disciplinato dagli artt. 38, 45 e 50 del R.D.L. n. 1578/1933 e dagli artt. 47-51 del R.D. n. 37/1934, da cui deriva la mancanza di termini perentori in vista dell’inizio, svolgimento e definizione del procedimento, i quali sono tipici del processo civile, limitandosi a dettare norme inderogabili poste a tutela del diritto di difesa.
Ciò affermato, il Consiglio osserva come la morte del Presidente costituisca un impedimento tale da non avere bisogno di alcuna sorta di “certificazione”, rendendo dunque irrilevante il motivo di impugnazione proposto dal ricorrente.
Proprio la natura amministrativa del procedimento, infatti, fa sì che le sue forme siano improntate alla semplicità, dovendosi rifare unicamente alle leggi sopra menzionate che non prevedono nessuna rigidità nella scansione temporale delle fasi e nel compimento dei singoli atti, non trovando, dunque, applicazione né l’art. 2, comma 3, l. n. 241/1990 in tema di durata del procedimento amministrativo, né gli artt. 24 Cost. e 6 CEDU in materia di ragionevole durata del processo.
Per questo motivo, tenendo conto dell’infondatezza della doglianza del ricorrente e del suo comportamento nei confronti dei clienti, avendo egli “ingannato” questi ultimi e posto fine a quel legame di fiducia senza il quale il mandato professionale non può neppure sorgere, il CNF rigetta il ricorso e conferma la sanzione disciplinare irrogatagli.

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