Giurisprudenza

L’Ufficiale Giudiziario suona sempre due volte: la Suprema Corte sulla validità della notifica ex artt. 139 e 143 c.p.c.

Redazione
notifica

di Michele Vietti - Professore e Avvocato

Il fatto. La questione sottoposta alla Suprema Corte è squisitamente processuale ed attiene alle modalità di notifica del decreto ingiuntivo che ha dato origine al giudizio.
Il Tribunale, su ricorso di una compagnia assicurativa, aveva ingiunto ad un fideiussore il pagamento di una somma a titolo di rivalsa.
Il fideiussore, tuttavia, era venuto a conoscenza dell’esistenza del decreto ingiuntivo soltanto due anni dopo, quando gli era stato notificato - presso la sede della società di cui egli era amministratore delegato - un atto di precetto.
Effettuati gli accertamenti del caso, il fideiussore aveva appurato che il decreto ingiuntivo risultava notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c., dopo un tentativo di notifica presso la sua residenza.

Primo grado. Il Giudice di prime cure aveva ritenuto nulla la notifica così effettuata, in quanto l’ufficiale giudiziario si era limitato alla mera attestazione del mancato rinvenimento del destinatario presso il luogo di residenza, constatato come disabitato, senza fare alcun cenno alle indagini eventualmente svolte, sia pure nei limiti della diligenza ordinaria (ad esempio mediante richiesta a coloro che abitassero o svolgessero attività commerciale nei pressi), circa l’eventuale luogo di nuova residenza o dimora del destinatario.

L’appello. Nel riesaminare la questione, la Corte d’Appello:

  • aveva affermato che la notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c. nel luogo in cui il destinatario “ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio” può essere effettuata, in sua assenza, a persona “addetta (…) all’ufficio o all’azienda” soltanto se l’atto da notificare attenga all’attività ivi svolta; in caso contrario, in detto luogo la notifica potrebbe avvenire soltanto a mani proprie del destinatario;
  • conseguentemente, aveva ritenuto valida la notifica effettuata con le modalità previste dall’art. 143 c.p.c. - ancorché il creditore fosse a conoscenza del domicilio lavorativo dell’esponente e l’Ufficiale Giudiziario non avesse dato conto delle ricerche effettuate per il reperimento della residenza effettiva - ed inammissibile l’opposizione tardiva proposta dall’esponente, ai sensi dell’art. 650 c.p.c., avverso il decreto così notificato.

Sulla esperibilità della notifica ai sensi dell’art. 139, comma 2, c.p.c. presso la sede della società. Con il primo motivo, il fideiussore ha lamentato la violazione del disposto dell’art. 139 c.p.c. (e conseguentemente degli artt. 143 e 650 c.p.c.) sostenendo che, dal tenore letterale della norma, si evincerebbe con chiarezza che la notifica presso “l’ufficio o l’azienda” ha portata generale e non sarebbe limitata ai soli atti che abbiano attinenza con l’attività lavorativa o professionale ivi svolta dal destinatario.
Nell’ordinanza, la Cassazione ha riconosciuto l’erroneità dell’affermazione del giudice di seconde cure che - senza svolgere alcuna indagine sulla sussistenza di una effettiva e “stabile relazione” fra il destinatario della notifica e la sede della società di cui egli era amministratore delegato e sulla conoscenza o conoscibilità (usando l’ordinaria diligenza) di detta relazione da parte della creditrice notificante - aveva sostenuto che la notifica di un atto che riguardi questioni personali del destinatario non potesse essere validamente effettuata, presso il suo domicilio lavorativo, a mani della persona addetta all’ufficio.
Su questo punto, la decisione in commento non si discosta dall'orientamento prevalente.
La giurisprudenza ha già chiarito che “l'ufficio del destinatario, quale luogo in cui egli può essere ricercato per la notificazione degli atti a lui diretti, è il luogo in cui egli svolge abitualmente la sua attività lavorativa, senza alcuna possibile distinzione tra l'ufficio da lui creato, organizzato e diretto per la trattazione degli affari propri, e quello in cui presti servizio o eserciti la sua attività lavorativa alle dipendenze di altri, e ciò tanto nella sua qualità di semplice impiegato, quanto nella qualità di amministratore delegato di una società di capitali che eserciti, come tale, un'attività caratterizzata da ampi poteri decisionali (…) l'art. 139, comma 1, c.p.c. si limita a prescrivere che l'ufficiale giudiziario ricerchi il destinatario dell'atto nella sua casa di abitazione o, alternativamente, ‘dove ha l'ufficio o esercita l'industria o il commercio’. L'espressione, contrapposta alla casa di abitazione, indica chiaramente il luogo dove il destinatario svolge la sua attività lavorativa professionale o imprenditoriale, subordinata o autonoma. Entrambe le relazioni con il luogo di abitazione e con quello di lavoro debbono essere connotate - eccezion fatta per il caso di notificazione dell'atto per consegna in mani proprie, che toglie ogni rilevanza alla relazione tra il destinatario dell'atto e un luogo determinato - da una sufficiente stabilità (…). Con particolare riferimento al luogo di lavoro, la relazione stabile e non meramente occasionale del destinatario dell'atto non comporta necessariamente una sua abituale continua presenza fisica, ma è sufficiente una continuità di rapporti di tale portata che valga a giustificare una presunzione di reperibilità e, quindi, di conoscibilità dell'atto recapitato in tale luogo, ben potendo ipotizzarsi una pluralità di luoghi di lavoro frequentati alternativamente in giorni diversi con cadenza regolare, come avviene frequentemente per i professionisti dotati di due o più studi in luoghi diversi della città. Pertanto, nel caso in cui l'atto sia destinato a un soggetto che sia anche legale rappresentante di una società di capitali, deve ritenersi irrilevante la mancata costante presenza presso la sede della società, poiché egli, per la relazione giuridica che collega il legale rappresentante della società con la sede della medesima, è in ogni momento ben noto in quel luogo, di modo che può ritenersi assicurata la sua conoscenza in ordine agli atti ivi notificati” (Cass. civ., sez. I, 8 giugno 1995 n. 6487; nello stesso senso già Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 1976 n. 543; Cass. civ., sez. I, 26 novembre 1980, n. 6278).
Sulla scorta di detti principi, è stato affermato che l'essere destinatario di un atto non quale sindaco, ma quale comune cittadino non esclude la regolarità della notifica effettuata presso il comune (cfr. Cass. civ., sez. lav.,  14 febbraio 1997 n. 1359; Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 1997 n. 2012; Cass. civ., sez. lav., 21 marzo 1997 n. 2506) o presso la sede consolare nel caso di Console onorario (cfr. Cass. civ., sez. I, 5 luglio 1993, n. 7329) o, appunto, presso la sede di una società di capitali nel caso del suo amministratore (cfr. Cass. civ., sez. I, 8 giugno 1995 n. 6487 cit.), anche nel caso di notifica relativa ad un debito personale e non collegato a dette qualifiche.
Più di recente, è stato ribadito che: “La norma posta dall'art. 139 c.p.c. prescrive che la notifica, se non avviene nel modo previsto dall'art. 138 (a mani proprie) si esegue nel luogo di residenza del destinatario, precisando che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio o esercita l'industria od il commercio. Dunque, come più volte affermato da questa Corte, l'art. 139 c.p.c., nel prescrivere che la notifica si esegue nel luogo di residenza del destinatario e nel precisare che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio o esercita l'industria o il commercio, non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguire la notifica presso la casa di abitazione o presso la sede dell'impresa o presso l'ufficio, purché si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza (v. Sez. 3, Ordinanza n. 2266 del 01/02/2010 Rv. 611300; Sez. 2, Sentenza n. 15755 del 13/08/2004 (Rv. 575559). E' stato altresì affermato che per le notificazioni eseguite in forma diversa da quella della consegna a mani proprie del notificando nella sua residenza, dimora o domicilio, ex art. 139 c.p.c., opera il principio della cognizione legale che si basa sulla presunzione in forza della quale chi si trova in determinati rapporti con il destinatario dà affidamento di portare l'atto a sua conoscenza, con il limite naturale che il principio non può operare quando il rapporto di fiducia non vi sia per un contrasto giuridicamente qualificato di interessi, salva la responsabilità del consegnatario per l'omissione, talché qualora il destinatario della notificazione non deduca l'inesistenza del rapporto di fiducia con chi ha ricevuto la copia dell'atto notificato, detta notifica è pienamente valida (v. Sez. 2, Sentenza n. 5452 del 03/06/1998 Rv. 516045; Sez. 1, Sentenza n. 5267 del 18/10/1984 (Rv. 436996)” (Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2016 n. 2968).
Tuttavia, pur condividendo le precedenti considerazioni e con una motivazione che desta qualche perplessità, l’ordinanza in commento non ha accolto il motivo di ricorso, ritenendo non fondata la pretesa che - stante l’iniziale irreperibilità del destinatario presso l’indirizzo di residenza - andasse esperito un secondo tentativo di notifica, ai sensi dell’art. 139, comma 2, c.p.c., presso la sede della società.
La Suprema Corte sulla scorta del fatto che l’art. 139 c.p.c. preveda, per quanto attiene ai possibili luoghi di notifica di cui al comma 1, un ordine meramente alternativo - sicchè nell'ambito del comune di residenza del destinatario la notificazione può essere indifferentemente eseguita tanto nella casa di abitazione del notificando, quanto laddove egli ha l'ufficio o esercita l'industria o il commercio (cfr. Cass. civ., sez. VI, 26 ottobre 2017 n. 25489; nello stesso senso già Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2010 n. 2266; Cass. civ., sez. II, 13 agosto 2004 n. 15755; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2000 n. 5957; Cass. civ., sez. I, 8 maggio 1998 n. 4691; Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 1991 n. 13849; Cass. civ., sez. III,  15 settembre 1981 n. 5103) -, ha ritenuto non sussistente alcun obbligo, in capo al notificante, di preferire un luogo ad un altro e sufficiente il tentativo di notifica in uno solo di essi.

Una siffatta interpretazione non può essere condivisa.
La notifica effettuata nelle forme di cui all’art. 143 c.p.c., come riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza unanimi, costituisce un’ipotesi residuale a cui si può fare ricorso soltanto laddove risulti oggettivamente impossibile individuare il luogo di residenza, domicilio o dimora del notificando, nonostante l'esperimento delle indagini suggerite nei singoli casi dalla comune diligenza.
Ne discende che occorre verificare quale sia il limite tra la mancanza di conoscenza della residenza del destinatario della notifica e la irreperibilità dello stesso.
Il criterio è stato individuato, in generale, nell'uso della "normale diligenza" nelle ricerche dello stesso da parte del notificante, che non possono essere ridotte alla mera indagine anagrafica: occorre sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l'ufficiale giudiziario dia espresso conto.
Infatti, le condizioni legittimanti il ricorso al citato disposto non sono rappresentate dal solo dato soggettivo dell'ignoranza da parte dell'ufficiale giudiziario circa la residenza, il domicilio o la dimora diversi da quelli indicati dalla certificazione anagrafica acquisita, bensì anche dalla circostanza che detta condizione non possa essere superata mediante l'esperimento, con l'ordinaria diligenza, delle indagini possibili.
È, quindi, necessario che il giudice verifichi, in base alle prove dedotte, “se il notificante conosceva o poteva conoscere, adottando la comune diligenza, la dimora, il domicilio o la residenza del destinatario. Il presupposto dell'irreperibilità del destinatario per la notificazione di un atto a norma dell'art. 143 c.p.c. implica, infatti, l'ignoranza soggettiva del notificante o dell'ufficiale giudiziario in ordine alla residenza, dimora o domicilio del destinatario e, altresì, l'oggettiva impossibilità di individuare il luogo dell'effettiva residenza, domicilio o dimora nonostante le indagini suggerite dalla comune diligenza (ex plurimis: Cass. 3799/1997 nonché Cass. 12223/1995 richiamata dalla sentenza impugnata)” (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2002 n. 12589).
Ove venga effettuata in difetto di questi presupposti, ovvero senza aver esperito indagini secondo la normale diligenza per rintracciare il destinatario, la notificazione effettuata ai sensi della norma in esame deve ritenersi nulla.
È ancora la Cassazione ad affermare che nell’accertamento della validità o meno della notifica nelle forme di cui all’art. 143 c.p.c., “non può prescindersi dai rapporti tra le parti della vicenda controversa, dai quali, di regola, possono rilevarsi i requisiti soggettivi ed oggettivi che giustificano tale tipo di notificazione” (Cass. civ., sez. IV, 27 marzo 2008 n. 7964); con l’ulteriore conseguenza che “è nulla la notificazione effettuata con le modalità dell’art. 143 c.p.c. quando sia noto il luogo di lavoro del destinatario” (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2011 n. 10217).
Nella pronuncia che si annota, la Suprema Corte si pone in contrasto con queste considerazioni, sostenendo la validità della notifica effettuata ex art. 143 c.p.c. pur in mancanza del requisito della “irreperibilità”, essendo il mittente a conoscenza del luogo di lavoro del destinatario.

Sulle formalità di indagine e ricerca per la validità della notifica ex art. 143 c.p.c.. Con il secondo motivo, il fideiussore ha lamentato che la sentenza fosse comunque viziata per aver ritenuto valida ed efficace la notifica effettuata dall’Ufficiale Giudiziario con le modalità previste dall’art. 143 c.p.c., senza dare atto delle ricerche svolte per il reperimento della residenza effettiva dell’esponente.
Sotto questo profilo la Corte d’Appello aveva ritenuto sufficiente l’attestazione dell’Ufficiale Giudiziario - contenuta nella prima relata di notifica - che all’indirizzo si trovava uno “stabile interamente disabitato e in via di dismissione”, attestazione da “ritenersi parte integrante della seconda relata di notifica (…) sufficiente ed idonea ad integrare le indagini dovute, tenuto, altresì conto di quanto dedotto dall’appellante e non contestato da parte avversa, circa l’inesistenza nella zona, circostante lo stabile (…) di esercizi commerciali e di abitazione, fatta esclusione di villini distanti e isolati”.
La Cassazione, di diverso avviso, ha accolto il motivo affermando che “in tema di notificazione ex art. 143 cod. proc. civ. l'ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2017, n. 8638, Rv. 643689-01)”.

La decisione si pone in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo cui “le condizioni legittimanti la notifica a norma dell’art. 143 c.p.c. non sono [rap]presentate solo dal dato soggettivo dell’ignoranza da parte del richiedente [e] dell’Ufficiale Giudiziario circa la residenza, la  dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, né dal possesso del solo certificato di residenza dal quale risulti che il destinatario si è trasferito per ignota destinazione, essendo richiesto altresì che la condizione di ignoranza non possa essere superata attraverso le indagini nel caso concreto. Pertanto la notifica deve ritenersi nulla qualora la relata non contenga alcuna indicazione in ordine alle indagini compiute per accertare la residenza del destinatario” (Cass. civ., sez. lav., 9 febbraio 2009 n. 3037; nello stesso senso cfr. Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2008 n. 5127) e non può che essere condivisa.
Come noto, la relata di notifica, in quanto atto posto in essere da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, ha natura di atto pubblico.
Da ciò discende che le attestazioni che essa contiene (in relazione alle attività compiute dall'ufficiale giudiziario, alle dichiarazioni che questi ha ricevuto e ai fatti che sono avvenuti in sua presenza) sono assistite da fede pubblica privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c. e che l'unico strumento per contrastarle è rappresentato dalla querela di falso, non essendo nemmeno ipotizzabile che possa essere ricavata aliunde la prova di fatti, circostanze e dichiarazioni non risultanti dalla relata medesima.

Alla stregua di tutte queste considerazioni, la pronuncia in commento ha ritenuto non idonee le indicazioni apposte dall'ufficiale giudiziario all'esito del primo tentativo di notificazione presso l'abitazione del ricorrente, considerando che dalla stessa risultava unicamente il rinvenimento, "in loco", di "un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi", ma non l'espletamento di ulteriori indagini o ricerche - che avrebbero potuto sostanziarsi semplicemente nella raccolta, da parte di altri residenti, di informazioni negative circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell'atto (cfr. Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2017, n. 19012; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2018, n. 17596) - e, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, ha cassato l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello per la decisione di merito.

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