Processo civile

Le contestazioni alla C.T.U. sono formulabili per la prima volta anche in comparsa conclusionale e/o in appello

Redazione

di Vincenzo Liguori, Avvocato in Napoli e socio dello Studio Legale Liguori & Liguori

 

La vicenda dedotta in lite. Una coppia di coniugi nell’anno 1999 ha acquistato un immobile da destinare a loro abitazione. Gli acquirenti, nell’anno 2002, rilevato che il bene immobile acquistato era mancante del certificato di abitabilità, hanno citato in giudizio i venditori chiedendo loro:

(-) in via principale il risarcimento dei danni ex art. 1440 c.c. nella misura di 180.000.000 di lire (oggi € 92.962,00), importo corrispondente alla differenza tra il prezzo pagato ed il minor valore dell’immobile;

(-) in via subordinata il risarcimento delle spese da sostenere per eseguire le opere di urbanizzazione in sanatoria necessarie per poter espletare le pratiche amministrative.

Il Tribunale di Tivoli, una volta espletata la C.T.U., ha accolto la domanda degli acquirenti ed ha condannato i venditori al pagamento della somma di € 49.772,45 oltre accessori.

Avverso la stessa sentenza hanno proposto appello i soccombenti in primo grado.

Gli appellanti, in particolare, hanno lamentato che il giudice di prime cure si è limitato a recepire in maniera acritica le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio senza tener conto dei rilievi che la stessa parte aveva formulato alla quantificazione del danno determinata dal C.T.U. sia in sede di comparsa conclusionale che di memorie di replica.

La Corte di Appello di Roma ha rigettato il gravame ed ha confermato la sentenza appellata.

Avverso la suddetta sentenza gli eredi della parte soccombente hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi:

(-) con il primo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto tardive le contestazioni mosse nei confronti dell’elaborato peritale solo in sede di comparsa conclusionale;

(-) con il secondo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza di secondo grado per non aver la stessa Corte di Appello esaminato le censure mosse dagli appellanti alla consulenza tecnica d’ufficio in primo grado benchè queste fossero state formalmente riproposte in sede di appello, sul presupposto che le stesse erano state proposte in primo grado tardivamente solo in sede di comparsa conclusionale e, pertanto, erano da ritenersi inammissibili in sede di gravame.

La causa, inizialmente assegnata alla trattazione in camera di consiglio innanzi alla sez. VI – 2, è stata rimessa alla pubblica udienza della sez. II la quale, con ordinanza interlocutoria n. 1990/2020, ha disposto la trasmissione del procedimento al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite.

L’ordinanza di rimessione ha precisato che al caso in esame non trova applicazione, ratione temporis, la normativa di cui all’art. 46 della l. 69/2009 che ha modificato gli artt. 191 e 195 c.p.c. e che la questione posta non trova una soluzione univoca.

 

La questione controversa. Può la parte sollevare contestazioni e rilievi critici alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in sede di comparsa conclusionale ed eventualmente in sede di appello, aggirando il divieto di cui all’art. 345 c.p.c.?

La risposta a questo annoso quesito è stata fornita dalla recente Cass. civ., sez. unite., sent., 21 febbraio 2022, n. 5624.

Secondo le Sezioni Unite le contestazioni e i rilievi critici alla consulenza tecnica d’ufficio relative alle deduzioni del C.T.U., che non integrino eccezioni di nullità relative al procedimento, costituiscono delle mere argomentazioni difensive volte a sollecitare il potere valutativo del giudice e, pertanto, non incontrano alcuna barriera preclusiva e possono essere formulate per la prima volta anche nella comparsa conclusionale o in sede di appello in quanto i termini di cui all’art. 195 c.p.c. hanno mera natura ordinatoria.

Il giudice, in considerazione delle specifiche circostanza del caso, può valutare se il comportamento giudiziale della parte viola il dovere di lealtà e probità che l’art. 88 c.p.c. pone a carico delle parti e dei loro difensori.

 

Gli orientamenti contrastanti. Il Collegio rimettente ha rilevato che la questione posta al suo esame non trova una soluzione univoca ed ha evidenziato che:

(-) un primo orientamento, maggioritario, afferma che le osservazioni critiche alla C.T.U. non possono essere formulate in sede di comparsa conclusionale - e se formulate non devono essere esaminate dal giudice - in quanto in questo caso verrebbe violato il principio del contraddittorio (Cass. n. 3330/2016; Cass. n. 4448/2014; Cass. ord. n. 20636/2013; Cass. n. 7335/2013; Cass. ord. n. 410/2012; Cass. n. 19128/2006; Cass. n. 9517/2002; Cass. n. 11999/1998).

Secondo tale maggioritario orientamento, quindi, le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio, possono essere sollevate nella prima udienza successiva al deposito dell’elaborato peritale allorché il giudice può riconvocare il consulente tecnico e/o chiedere allo stesso un supplemento delle indagini peritali.

A sostegno di tale orientamento parte della giurisprudenza ha rilevato, altresì, l’inidoneità della comparsa conclusionale a contenere osservazioni o rilievi critici alla C.T.U. in quanto in tale atto è possibile solo esporre ed illustrare le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le conclusioni già formulate innanzi al giudice né, tantomeno, si può ritenere che con le memorie di replica sia possibile ripristinare il contraddittorio (Cass. n. 16611/2013).

Ad ulteriore conforto di tale tesi, parte della giurisprudenza sostiene che le contestazioni alla consulenza tecnica d’ufficio integrano eccezioni rispetto al suo contenuto e, pertanto, sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c., dovendo, pertanto, dedursi - a pena di decadenza - nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso (Cass. n. 4448/2014; Cass. ord. n. 19427/2017; Cass. n. 29099/2017).

Su tale direttiva, in realtà, si erano mosse anche le più recenti (probabilmente sfuggite al Collegio rimettente o ritenute superflue) Cass. n. 22095/2020, Cass. n. 18036/2020, Cass. n. 15812/2020, Cass. n. 7944/2020, Cass. n. 30878/2019, Cass. n. 22584/2019, Cass. n. 1358121/2019, Cass. n. 12710/2019, Cass. n. 8935/2019, Cass. n. 26479/2018, Cass. n. 26017/2018, Cass. n. 20829/2018, Cass. n. 15747/2018; Cass. n. 15696/2018; Cass. n. 15583/2018; Cass. n. 12437/2018; Cass. n. 12363/2018; Cass. n. 504/2018.

(-) Un secondo orientamento, minoritario, invece, ritiene possibile formulare contestazioni e rilievi critici alle valutazioni e alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio anche in sede di comparsa conclusionale in quanto si tratterebbe di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa che non determinano un ampliamento dell’ambito oggettivo della controversia (Cass. n. 2809/2000; Cass. n. 1666/1977; Cass. n. 14467/2006, p. 15 -16, non massimata specificamente sul punto).  

(-) Una rimeditazione critica dei due orientamenti è stata operata dalla Suprema Corte con Cass. n. 15418/2016 che ha richiamato il principio sancito dalle precedenti Sezioni Unite (Cass. n. 13902/2013) secondo cui la consulenza di parte deve essere dichiarata un mero atto difensivo, la cui produzione non può ricondursi in alcun modo al divieto di cui all’art. 345 c.p.c. e la cui allegazione al procedimento deve ritenersi regolata dalle norme che disciplinano tali atti; la natura tecnica del documento, infatti, non ne altera l’essenza che resta quella di un atto difensivo a contenuto tecnico (Cass. n. 15418/2016).

Ne consegue, pertanto, che i rilievi critici di natura tecnica all’operato del consulente tecnico d’ufficio non incontrano barriere preclusive né in appello né in primo grado.

Il Collegio, sulla scorta di quanto sopra esposto, ha ritenuto necessario distinguere tra le contestazioni inerenti il procedimento di formazione della consulenza tecnica d’ufficio - che devono ritenersi assoggettate alla disciplina delle nullità relative e, pertanto, rispettare i limiti soggettivi e temporali di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c. - da quelle che, invece, attengono al contenuto e alle deduzioni del C.T.U. - che, costituendo delle mere argomentazioni difensive, non incontrano alcuna barriera preclusiva e possono essere mosse per la prima volta anche nella comparsa conclusionale.

In questo ultimo caso, poi, non si configurerebbe alcuna violazione del principio del contraddittorio in quanto l’altra parte potrebbe rispondere e prendere posizione con la successiva memoria di replica. Qualora, poi, le contestazioni dovessero richiedere una revisione o un supplemento d’indagine del C.T.U., con la conseguente necessità di rimettere la causa sul ruolo istruttorio, al giudice spetterà di valutare, ai fini della liquidazione delle spese, la serietà delle ragioni che hanno indotto la parte a formulare tali osservazioni critiche per la prima volta in comparsa conclusionale.

Tale principio è stato ripreso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20829/2018 e con l’ordinanza n. 2516/2019.

 

I profili critici individuati dal collegio rimettente. L’ordinanza interlocutoria, su tale approdo giurisprudenziale, ha individuato i due seguenti profili critici:

(-) il primo profilo relativo alla disciplina degli artt. 191 e 195 c.p.c. così come riformati dalla L. 69/2009, la quale ha inteso procedimentalizzare l’espletamento del mezzo istruttorio al fine di renderlo più celere mediante la previsione di tre termini (ordinatori) e la collaborazione tra le parti, i loro consulenti, il giudice ed il C.T.U.

Tale meccanismo, seppur imperniato su tre termini ordinatori, risulta davvero difficilmente compatibile con la possibilità che la parte nulla eccepisca fino alla comparsa conclusionale.

(-) Il secondo profilo relativo, invece, al differente regime delle preclusioni per le contestazioni relative al merito della C.T.U. da quelle relative ai vizi della procedura.

Invero, mentre le prime non sarebbero sottoposte ad alcun limite temporale, le seconde sarebbero assoggettate al rigoroso limite, soggettivo e temporale, di cui all’art. 157, secondo comma, c.p.c.

Nel concreto, però, tale distinzione non sarebbe sempre agevole in quanto vi sono dei vizi del procedimento che inevitabilmente si ripercuotono anche sul merito dello stesso elaborato come, ad esempio, l’indagine tecnica che si estende oltre i limiti fissati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente.

 

Le questioni sottoposte al vaglio delle Sezioni Unite. L’ordinanza interlocutoria, quindi, in virtù delle suddette criticità individuate, ha indicato tre questioni sui quali le Sezioni Unite sono state chiamate a rispondere:

(-) la prima è se le critiche alla consulenza possono essere sollevate per la prima volta con la comparsa conclusionale.

(-) la seconda è, in caso di risposta positiva, se l’ammissibilità delle critiche alla consulenza sia subordinata ad una valutazione del giudice, se è applicabile ai soli processi ai quali non si applicano gli artt. 191 e 195 c.p.c. così come riformati dalla l. n. 69/2009 e se vi sono conseguenze per la parte sotto il profilo dell’attribuzione delle spese di giudizio o sotto altri profili.

(-) la terza è, in caso di risposta negativa, se ciò vada ricondotto all’applicazione di quanto disposto dall’art. 157, comma 2, c.p.c. alla generalità dei vizi inerenti la consulenza tecnica, quale categoria comprensiva anche dei vizi che attengono al contenuto dell’atto, ovvero quale conseguenza della mancata partecipazione della parte alla formazione della consulenza, così come stabilito dal giudice con la fissazione dei termini di cui all’art. 195 c.p.c. e, in quest'ultimo caso, se ciò valga solo per i procedimenti a cui si applicano i riformati artt. 191 o 195 c.p.c. ovvero anche per i processi ove il giudice abbia fissato, in virtù dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., un termine per il deposito di osservazioni; infine, se l’inammissibilità in primo grado comporti o meno l’inammissibilità nel giudizio di appello della (ri)proposizione dei rilievi formulati nella comparsa conclusionale.

Ciò sulla scorta di due elementi di ragionamento, relativi principalmente:

a) alla ratio della riforma ex l. n. 69/2009 e nell’evidenza che il legislatore, con la l. n. 69/2009 - riforma che si applica ai processi iniziati dopo il 4 luglio 2009 -  ha inteso procedimentalizzare lo svolgimento della consulenza tecnica al fine di accelerarne l’iter formativo nell’ottica di una riduzione dei tempi del processo e di una piena esplicazione del principio del contraddittorio tra le parti ed il C.T.U. di modo che il giudice, all’udienza successiva al deposito dell’elaborato peritale, conosca già le osservazioni delle parti alle risultanze del consulente tecnico d’ufficio, nonché le repliche di quest’ultimo e può, qualora ritenesse fondate le stesse osservazioni, decidere immediatamente, riconvocare il consulente d’ufficio al fine di rendere chiarimenti o, in virtù di quanto disposto dall’art. 196 c.p.c., disporre la rinnovazione delle indagini e, laddove ricorrano i gravi motivi, sostituire lo stesso consulente d’ufficio;

b) al ruolo processuale attribuito alla consulenza di parte: con la precedente sentenza n. 13902/2013 le Sezioni Unite avevano infatti affermato che la consulenza tecnica di parte deve considerarsi un mero atto difensivo a contenuto tecnico privo di valore probatorio sicché la sua produzione è ammissibile anche in sede di appello (cfr. il richiamo operato anche da Cass. ord. n. 20347/2017 e Cass. ord. n. 26487/2019).

La Suprema Corte, ancora, rileva che con la sentenza n. 259/2013, aveva precisato che la consulenza tecnica di parte può essere prodotta sia da sola che nel contesto delle difese scritte della parte e, nel giudizio di appello celebrato con rito ordinario, anche dopo l’udienza di precisazioni delle conclusioni.

A questo punto la S.C. si è interrogata sull’applicabilità di tale principio anche ai rilievi critici svolti nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio da parte dei consulenti di parte e riportate, anche mediante la trascrizione integrale, all’interno di atti difensivi (comparsa conclusionale, memoria di replica, atto di appello).

È evidente, invero, che la natura delle critiche formulate dai consulenti tecnici di parte non muta in conseguenza del loro inserimento, anche mediante la trascrizione integrale, all’interno degli atti difensivi.

 

La decisione delle sezioni unite. Le Sezioni Unite del 2022, pertanto, in merito al primo profilo critico individuato dall’ordinanza interlocutoria – circa la possibilità di sollevare critiche alla consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in sede di comparsa conclusionale – hanno precisato che se attraverso l’inserimento di rilievi di natura tecnica la parte intenda introdurre in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, domande, eccezioni e prove, questi andranno dichiarati inammissibili.

Il Collegio precisa, altresì, che occorre distinguere tra le censure che attengono a violazioni procedurali da quelle che invece attengono al merito ovvero alle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio.

Tale distinzione è di fondamentale importanza poiché solamente le censure relative al procedimento della consulenza tecnica d’ufficio, in quanto nullità relative, sono soggette al regime delle preclusioni di cui all’art. 157 c.p.c.

A tal riguardo il Collegio ha osservato che l’orientamento tradizionalmente invalso nella giurisprudenza della stessa Corte in merito ai vizi della consulenza tecnica d’ufficio che ne determinano la nullità relativa e, pertanto, rientrano nei limiti soggettivi e temporali di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c., erano da rinvenirsi nella sola ipotesi dell’omesso avviso da parte del consulente alle parti della data di inizio delle operazioni peritali; in seguito tale principio è stato esteso anche ad altre ipotesi di nullità a cominciare da quelle ravvisabili in conseguenza dell’estensione del sindacato peritale all’accertamento di fatti estranei al tema decisionale o all’acquisizione di documenti non ritualmente prodotti in giudizio dalle parti.

Il Collegio, quindi, nel confermare l’orientamento tradizionale, ha eseguito un’ulteriore distinzione tra la nullità relativa e quella assoluta della C.T.U. precisando che:

• allorchè il Consulente d’Ufficio accerti fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della loro domanda o delle loro eccezioni - e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio - o acquisisca, nei predetti limiti, documenti al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del principio del contraddittorio delle parti, si configurerà  un’ipotesi di nullità relativa con i conseguenti limiti soggettivi e temporali di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c.;

• allorchè il Consulente d’Ufficio accerti dei fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni - e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio che il consulente accerti per rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice - violando il principio della domanda ed il principio dispositivo, si configurerà la fattispecie della nullità assoluta e tale vizio sarà rilevabile d’ufficio o, in difetto, sarà un motivo d’impugnazione da farsi valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.

Le Sezioni Unite, in tema di vizi della procedura della consulenza tecnica d’ufficio, hanno ritenuto affermare il principio secondo cui le nullità procedimentali della consulenza tecnica sono, in generale e quando non ridondano in nullità rilevabili anche d’ufficio, soggette all’applicazione della norma di cui all’art. 157, secondo comma, c.p.c. essendo possibile oramai distinguere agevolmente tra i vizi d’attività processuale e procedimentale compiuti dal consulente, dal giudice o dalle parti e i vizi “di contenuto” attinenti a questioni scientifiche e/o comunque valutative e, quindi, connessi al tema della ricerca di una giusta soluzione della controversia.

In virtù di tale distinzione, pertanto, il divieto di muovere qualsiasi tipo di contestazione alla consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in sede di comparsa conclusionale non può farsi discendere dai limiti soggettivi e temporali di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c., applicabile alle sole nullità processuali (e procedimentali) e non alle critiche attinenti al merito delle indagini e conclusioni dell’ausiliare del giudice.

Il Collegio, quindi, al fine di verificare se l’eventuale divieto di muovere rilievi critici alla consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in sede di comparsa conclusionale potesse derivare dall’art. 195 c.p.c., così come riformato dalla l. n. 69/2009 (anche se, ratione temporis, non applicabile al caso in esame), ha esaminato lo stesso articolo.

Secondo le Sezioni Unite il legislatore del 2009 ha riformato l’art. 195 c.p.c. ed ha “procedimentalizzato” l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio mediante l’introduzione, all’ultimo comma, di tre termini di natura ordinatoria e acceleratoria che svolgono ed esauriscono la loro funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito dell’elaborato peritale.

Ne consegue, pertanto, che laddove non dovessero essere  prospettati rilievi critici alla consulenza tecnica d’ufficio o prospettati tardivamente rispetto ai termini assegnati alle parti, tale omissione avrebbe ripercussioni nel solo subprocedimento di formazione dell’elaborato peritale in quanto, da un lato, esonererebbe il C.T.U. dal depositare, nel termine a lui assegnato, la sintetica valutazione delle osservazioni rese dalle parti e, dall’altro, non precluderebbe alla parte o alle parti di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio (Cass. ord. n. 18657/2020).

Il Collegio, quindi, ritiene che il legislatore, con la suddetta riforma del 2009, abbia voluto procedimentalizzare, assoggettandola a termini precisi, la sola possibilità delle parti di interloquire con il C.T.U. così da incidere immediatamente sul contenuto dell’elaborato peritale e non vietare, tout court, alle stesse parti di poter svolgere eventuali deduzioni ed osservazioni nel corso del giudizio.

Per il Collegio, quanto sopra affermato deve ritenersi valido anche per i procedimenti ai quali non è applicabile, ratione temporis, l’art. 195 c.p.c. così come riformato dalla l. n. 69/2009, ma ove tuttavia il giudice - sia in virtù di quanto generalmente accade nella prassi che in considerazione dei suoi poteri in materia di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c. - abbia fissato un termine per il deposito delle osservazioni di parte.

Il Collegio, ancora, anche sulla scorta di quanto in precedenza affermato con la sentenza n. 13902/2013 - in merito alla possibilità per la parte di poter produrre per la prima volta, anche solo in sede di appello, una consulenza tecnica di parte, in quanto mero atto difensivo – ritiene che non vi sia alcuna preclusione per la parte di poter svolgere osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio anche oltre i termini fissati dal giudice nel giudizio di primo grado.

Le parti, quindi, anche per la prima volta, in sede di comparsa conclusionale potranno muovere contestazioni - di carattere valutativo e/o di merito - alla consulenza tecnica d’ufficio a condizione che le stesse siano in relazione alle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte (Cass. n. 6858/2004; Cass. n. 22970/2004; Cass. n. 5478/2006).

Il Collegio, ancora, non ritiene condivisibile la tesi secondo cui, svolgendo per la prima volta le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio in sede di comparsa conclusionale, si violerebbe il principio del contraddittorio in quanto le parti, in seguito al suddetto atto, si scambiano le memorie di replica nelle quali ben possono trovare spazio le argomentazioni e le controdeduzioni della controparte senza che si verifichi alcuna lesione del diritto di difesa e dello stesso principio del contraddittorio.

Il Collegio, in particolare, rileva ancora che se per la giurisprudenza di legittimità non rappresenta un vulnus al principio del contraddittorio il fatto che la parte, per i soli diritti autoindividuati, possa addurre una nuova causa petendi che non si fondi sull’introduzione di fatti nuovi e non determini un mutamento delle conclusioni già rassegnate, non si comprende per quale motivo le parti, negli stessi suddetti limiti, non potrebbero muovere critiche all’elaborato peritale per la prima volta nella comparsa conclusionale.

Corollario di quanto sopra esposto è che nei termini e nei limiti sopra riportati - a prescindere che al processo sia o meno applicabile, ratione temporis, la nuova formulazione dell’art. 195 c.p.c. - le parti possono muovere censure alla consulenza tecnica d’ufficio anche per la prima volta nella comparsa conclusionale o nell’atto di appello.

Il giudice, a sua volta, alla luce delle specifiche circostanze del caso, dovrà valutare se il comportamento processuale della parte sia contrario al dovere di lealtà e probità che l’art. 88 c.p.c. pone a carico delle parti processuali e dei loro difensori.

Invero, le riforme del codice di rito che si sono susseguite dagli anni ’90 in poi, aventi lo scopo di realizzare il “giusto processo”, impongono alle parti un dovere di collaborazione anche al fine di pervenire, in tempi ragionevoli, alla decisione della causa con la conseguenza che laddove il giudice ravviserà nel comportamento della parte la violazione di tali principi ne terrà conto nella regolamentazione delle spese ex art. 92 c.p.c..

 

I principi di diritto affermati. Le Sezioni Unite, esaminata l’intera problematica, hanno affermato i seguenti tre principi di diritto:

1. le contestazioni e i rilievi critici alla consulenza tecnica d'ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della C.T.U. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio;

2. in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195 c.p.c., così come modificato dalla l. n. 69/2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti ante riforma del 2009, il giudice concede alle parti in virtù dei suoi poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare. Ne consegue che la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello;

3. qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio siano stati proposti oltre i termini concessi e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c. e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111 Cost., e in applicazione dell’art. 92, comma 1, ultima parte, c.p.c., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite.

La Corte ha, pertanto, accolto il primo motivo e dichiarato assorbito l’esame del secondo motivo.

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