Il principio di stretta tipicità dell’illecito nella materia disciplinare forense: la parola del CNF
L’attenzione del CNF è volta a chiarire se il principio di stretta tipicità dell’illecito, principio proprio del diritto penale, trovi applicazione anche in sede disciplinare, considerando che in detta sede, a fronte della casistica potenzialmente illimitata, non vi è un’elencazione tassativa dei comportamenti vietati. La questione viene chiarita con sentenza n. 132/18, depositata lo scorso 25 ottobre.
La condotta dell’avvocato. Dinnanzi al COA di Milano, l’esponente denunciava la perpetrazione di condotte deontologicamente illecite da parte del proprio legale il quale, nell’ambito di un giudizio giuslavoristico, pendente dinnanzi al Tribunale milanese, dopo aver rinunciato al mandato difensivo, avrebbe comunque presenziato all’udienza per il tramite di una sostituta processuale. Alla luce di tale vicenda, l’Ordine di Milano riteneva sussistente la violazione dei doveri deontologici di lealtà, correttezza e probità ex artt. 5 e 6 c.d.f.. Avverso tale statuizione, l’avvocato decide, ricorre dinanzi al CNF, denunciando, in particolare, la mancata integrazione delle violazioni deontologiche contestategli.
Una tendenziale tipizzazione. In primo luogo, il CNF si riferisce al contenuto del nuovo codice deontologico forense il quale «è informato al principio della tendenziale tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante, per quanto possibile (art. 3, comma 3, l. n. 247/2012), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa».
L’illecito disciplinare atipico. Dunque, prosegue la Commissione, allorquando l’illecito contestato non sia stato espressamente previsto, ossia tipizzato, dalla fonte regolamentare, deve essere ricostruito sulla base dell’art. 3 cit. e del c.d.f.. In riferimento alla determinazione della pena, a fronte della sussistenza di un tale «illecito atipico», continua il CNF, sarà necessario far riferimento ai principi generali e al tipo di sanzione applicabile alle ipotesi analoghe al caso “atipico”. In altre parole, qualora manchi la descrizione di una o più condotte contestate all’avvocato e della relativa sanzione non si ricade in un’ipotesi di immunità poiché, facendo riferimento ai principi generali e alle casistiche analoghe, è comunque possibile contestare l’illecito sulla base del citato art. 3 secondo cui «la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza».
Le conclusioni del Consiglio. Il CNF, per concludere, oltre a ricordare che, circa il riconoscimento della responsabilità dell’incolpato, il principio di non colpevolezza trova applicazione anche in sede disciplinare, rileva che, nel caso di specie, le specifiche condotte addebitate all’avvocato ricorrente scostano un difetto di tipicità rispetto alla sfera applicativa delle norme deontologiche e, per tali ragioni, accoglie il ricorso.