Deontologia forense

Fino a che punto può dirsi lecita l’attività di “comparsista” posta in essere dall’avvocato?

Redazione
martelletto

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 226/2018, coglie l’occasione per chiarire alcuni punti, tra cui quello relativo alla liceità dell’attività di “comparsista” posta in essere dall’avvocato.

La vicenda. Il protagonista del caso è un avvocato che, a seguito dell’irrogazione della sanzione disciplinare della censura, impugna la relativa decisione emessa dal COA di Venezia. Quest’ultimo gli addebitava diverse condotte violanti il Codice Deontologico, tra cui quella di avere sottoscritto una procura per attività da svolgere di fronte ad un’autorità giudiziaria per la quale egli era privo di jus postulandi, pretendendone il relativo compenso in virtù del richiamo ad un’attività di collaboratore che egli avrebbe prestato in favore di colleghi abilitati.
Contro la decisione del COA, l’avvocato propone ricorso dinanzi al CNF.

Poteri del COA e del CNF. Il ricorrente, tra i diversi motivi, lamenta l’erronea ricostruzione dei fatti operata dal COA. A tal proposito, il CNF afferma che il Consiglio territoriale ha ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove acquisite nel processo, in conformità al principio del libero convincimento. Tale affermazione è sostenuta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno affermato che il potere del COA nell’ambito dei giudizi disciplinari si estende fino alla valutazione della convenienza a procedere all’esame di tutti o di parte dei testimoni ammessi, potendo eventualmente revocare l’ordinanza ammissiva degli stessi.
Quanto ai poteri del CNF, invece, il Consiglio afferma che l’eventuale inadeguatezza della motivazione che accompagna il provvedimento emesso dal COA non costituisce motivo di nullità della decisione, in quanto il CNF (nelle vesti di giudice dell’appello) ha il potere di apportare le integrazioni che ritiene opportune a tal fine, completando la decisione del Consiglio territoriale.

Attività di “comparsista”. Per quanto riguarda il fatto addebitato al ricorrente, il CNF osserva che il richiamo di quest’ultimo alla liceità dell’attività del “comparsista” da lui espletata nonché a quella della collaborazione che gli avvocati non iscritti all’albo speciale possono prestare in favore dei colleghi abilitati, risulta non pertinente, poiché tale collaborazione presenta caratteristiche del tutto diverse rispetto alla gestione del rapporto con i clienti, alla redazione degli atti e alla definizione dei rapporti economici, tutte attività poste in essere nel caso di specie. Da ciò consegue l’illiceità della pretesa del ricorrente ad ottenere il pagamento di una prestazione concernente un contratto nullo, a causa dell’illiceità dell’oggetto, e dunque la sua responsabilità.
Ciò posto, il CNF ritiene sussistente la responsabilità disciplinare del ricorrente in relazione allo svolgimento di attività professionale senza titolo; tuttavia, per via della tenuità della sua condotta, ridetermina il trattamento sanzionatorio.
Per questi motivi, il Consiglio accoglie parzialmente il ricorso ed infligge al ricorrente la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

News Correlate

News
Deontologia forense

Avvocati: il bisogno impellente dell'approvazione dell'equo compenso

Redazione

L'avvocatura in tutte le sue componenti, riunita in occasione dell’incontro del comitato organizzatore del Congresso nazionale forense, chiede a gran voce a tutte le forze politiche di portare a termine l'iter legislativo del disegno di legge sull’equo compenso, approvando definitivamente una leg